Gemma Donati, la moglie

Dalì-Piccarda Donati

Nata a Firenze intorno al 1265 dal cavaliere Manetto, Gemma Donati fu promessa sposa a Dante già nel 1277, con un atto dotale, pratica usuale, nella seconda metà del Duecento. La necessità di premunirsi contro i rischi della lotta politica cittadina spingeva, infatti, i fiorentini a contrarre alleanze matrimoniali tra famiglie politicamente avversarie: essendo gli Alighieri legati ai Cerchi, non saranno mancate, accanto a quelle economiche (la famiglia della promessa sposa possedeva a Pagnolle terreni contigui a quelli degli Alighieri), motivazioni politiche. Il matrimonio con il poeta dovette, però, avvenire qualche anno piú tardi, verosimilmente tra il 1283 ed il 1285, se si vuole considerare legittimo il primogenito Giovanni, del quale si ha notizia in un documento lucchese del 1308. A quest’ultimo seguirono Pietro e Iacopo, e Antonia, che divenne suora nel monastero ravennate di S. Stefano degli Ulivi, con il nome di suor Beatrice.

Gemma era cugina di terzo grado, di Corso, Forese e Piccarda, cioè con il ramo dei Donati che nei decenni successivi avrebbe guidato la fazione guelfa vincitrice, ma anche i suoi genitori vantavano un lignaggio prestigioso. Manetto, il padre, era figlio, infatti, di Ubertino Donati e di una figlia di Bellincione Berti. Per gli Alighieri si trattava, dunque, di un matrimonio prestigioso. Tanto più che Manetto dopo il fidanzamento di Dante con Gemma, sarebbe stato creato cavaliere. Ma non era molto vantaggioso dal punto di vista economico. La dote di Gemma, infatti, ammontava solamente a 200 fiorini piccoli. Le doti erano calcolate in proporzione al patrimonio del futuro sposo, che ne garantiva la restituzione in caso di morte del marito. 

                                                                                                       

La presenza della consorte non ebbe alcun riflesso nell'opera di Dante che per tutta la vita amò in modo assoluto e trasfigurato nell'idealizzazione poetica Bice, figlia di Folco Portinari, nota come Beatrice, che aveva incontrato per la prima volta a nove anni. Beatrice, musa e ispiratrice del poeta, fonte di bellezza e di grazia, morì nel 1290 a ventiquattro anni, causando una profonda crisi in Dante.

L'amore cortese, platonico e spirituale, rimaneva un puro pensiero, seppure totalizzante e questo tipo di amore non poteva essere provato per la compagna di vita e madre dei propri figli, ma avere accanto a un uomo come Dante, con la mente sempre impegnata verso un'altra donna, Beatrice, di cui esaltava la bellezza e la perfezione, non doveva essere piacevole per Gemma Donati, sicuramente una donna forte, che non dovette avere una vita serena: durante l'esilio di Dante visse un periodo di grande difficoltà, non solo economica, sola a far fronte a tutti i problemi familiari. Probabilmente visse Lucca e successivamente a Ravenna, nel monastero della figlia.

Si è molto discusso tra i dantisti se fu un matrimonio felice, partendo dal ritratto impietoso di Gemma che fece Boccaccio,  nel Trattatello. A suo dire, i parenti avevano convinto Dante a sposarsi perché si consolasse della morte di Beatrice (ma il matrimonio era già combinato dall'infanzia). Invece, quel legame gli procurò solo noie e pene, perché questo, sostiene Boccaccio, è il destino che tocca a tutti gli uomini di ingegno, i «filosofanti», che si adattano al matrimonio: chi lo ha provato sa «quanti dolori nascondano le camere, li quali di fuori, da chi non ha occhi la cui perspicacia trapassi le mura, sono reputati diletti». L’unico elemento che egli porta a favore della sua teoria sarebbe la circostanza (peraltro tutta da dimostrare) che, dopo l’esilio, i due non si sarebbero mai più incontrati sfuggendosi a vicenda: 

 Certo io non affermo queste cose a Dante essere avvenute, ché nol so, come ché sia vero che, o simili cose a queste, o altre che ne fossero cagione, egli, una volta da lei partitosi, che per consolazione dei suoi affanni gli era stata data, né mai dove ella fosse volle venire, né sofferse che là dove egli fosse ella venisse giammai, con tutto che di più figliuoli egli insieme con lei fosse parente.

Comunque sia,  i contrasti fra i coniugi, se mai vi furono, non dovettero essere particolarmente gravi. Lo lascia supporre il fatto che tra Dante, il padre e i fratelli di Gemma corsero sempre buoni rapporti. Per esempio, Manetto Donati fu più volte mallevadore di prestiti concessi a Dante negli anni Novanta, e anche per cifre ragguardevoli. E anche dopo l’esilio non si ha sentore di contrasti tra i coniugi. Inoltre, Dante, nonostante lo scontro politico con Corso, nella Commedia tratta con riguardo, per non dire con favore, tutta la famiglia Donati. 

 Nei documenti d’archivio successivi alla morte di Dante, il nome di Gemma compare in diverse istanze indirizzate al giudice sui beni dei ribelli, nelle quali la donna chiede di stornare la somma corrispondente alla propria dote dal patrimonio del marito, che il comune aveva confiscato in seguito alla condanna.Gemma morì tra gli ultimi mesi del 1342 e i primi del ’43: in un atto del 9 gennaio del ’43, infatti, Iacopo Alighieri si dichiara erede della madre.

Nell'opera di Dante non vi sono allusioni dirette e precise alla moglie, ma nel finale del canto V del Purgatorio potrebbe essere nascosto un modestissimo omaggio del poeta proprio a lei, tramite le parole struggenti pronunciate da Pia de' Tolomei: Ricordati di me che son la Pia: Siena mi fe' disfecemi Maremma: salsi colui che 'nnanellata pria disposando m'avea con la sua gemma. La parola "gemma" potrebbe essere la citazione del nome di Gemma Donati.

 

Città dei fiori, oh sei pur bella e lieta
Or che fra il plauso dell'accolta gente
Festeggi il tuo Poeta,
Come la nova libertà ti assente.
Mentre ogni cetra le virtù ridice
Di Dante e Beatrice,
Tu delle stesse frondi
Di Beatrice e Dante il crin circondi.


Si presso al suo cantor concedi un'ara
A quella vereconda alma cortese;
Ma non perciò discara
Ti sia la donna ch'ei per sua si prese,
Colei che il lutto dell'amor primiero
Tornavagli men fiero,
E gli addolcía gli esigli
Crescendogli d'intorno incliti figli.


Nè t'incresca, se a lui seconda musa
Ella non fu di cantici immortali,
Ma pensa che, rinchiusa
Nei domestici sacri penetrali,
Quanto poteva dar tutto ella ha dato
A quell'unico amato,
E umilmente sommessa
Visse per lui della sua vita istessa.


Di quante angoscie, che nessuno avvisa,
Fu segno allor quell'esistenza oscura!
Con lo sposo indivisa,
Gloria no, ma soltanto ebbe sventura.
Dello splendor delle paterne case
Nulla più a lei rimase,
Languì povera e mesta;
Pur nessuna pietà di lei si desta!


Oh! quante volte, mentre intenta solo
Alle miti apparía cure materne,
Forse seguiva il volo
Del suo Poeta per le vie superne,
E se di un'altra mormorare il nome
L'udiva, oh! chi sa come
Invidïò la sorte
Della rival temuta oltre la morte.


E forse allora, un gemito profondo
Reprimendo a fatica, i lagrimosi
Occhi sul capo biondo
Dell'ultimo suo nato avrà nascosi,
Perchè quelle gelose ansie tremende,
Che sol chi ama intende,
Non turbasser la cara
Alma che l'affliggeva, e n'era ignara.


No, non piangere, o Gemma, e a te sia noto
Che, mentre ai carmi il nome dell'amata
Affida il Vate, ignoto
Brama il nome di lei cui fè ha giurata:
Questo ei scrive del cor nell'ima parte,
Non sovra dotte carte,
E quel cor per te vale
Più del poema suo, benchè immortale.


Ma intanto il mondo, che intender ricusa
Questa d'amor pudica ritrosia,
D'una bugiarda accusa
Pria t'offese vilmente, ed or t'oblia:
Talchè nel giorno consacrato al rito
Di chi ti fu marito,
Ahi! per te il mondo intero
Un accento non ha, non ha un pensiero.


Pur s'appo te, cui la dolente vita
Sol confortâro i domestici affetti,
Di un'anima romita
Trovino grazia i poveri concetti,
Nel nome d'ogni madre e d'ogni sposa,
Pia qual fosti e amorosa,
T'offro un canto e un saluto,
D'affetto reverente umil tributo.


Perchè a noi donne, che onoriam del paro
La virtù oscura o ricinta di gloria,
Di Gemma il nome è caro
Come di Beatrice la memoria:
Ambo errar le vediam col lor Poeta
Di pianeta in pianeta,
E questa d'Arte, e quella
Di Famiglia soltanto a lui favella.


Ed all'Arte ei sorride e alla Famiglia
Con pari affetto e con egual sorriso;
Poi, quasi padre a figlia,
A me parla così dal Paradiso:
Fra i mille fior dell'immortal corona
Che Italia oggi mi dona,
Porrò l'umil tuo fiore,
Sol perchè alla mia donna hai fatto onore.

Firenze, maggio 1865.
 

Erminia Fuà Fusinato (1834-1876), scrittrice e poetessa, fervente patriota,, nel 1865, per il sesto centenario dalla morte di Dante celebratosi a Firenze, scrisse una poesia dedicata a Gemma Donati, la moglie rimasta amorosamente ma anche dolorosamente nell'ombra, restituendone l'intima sofferenza, la vita dura e difficile, il suo ruolo fondamentale nella cura della famiglia e dei figli.

 

Percorso di lettura:

  • Fuà Fusinato Erminia, Versi di Erminia, Milano, P. Carrara, 1873. Testo
  • Gigliozzi Giovanni, Gemma Donati la moglie di Dante. Tra storia e romanzo una sorprendente biografia illumina la sconosciuta compagna del grande poeta, rimasta per secoli all'ombra della angelicata Beatrice, Roma, Newton & Compton, 1997
  • Temperelli Maria, Beatrice e le altre: tutte le donne di Dante Alighieri , Fenysia Live, L'Eredità delle Donne 2020, Firenze, 23-25 ottobre 2020.

 

 Risorse digitali:

 

 

Immagini:

 "Piccarda Donati", "Dante" in Salvador Dalì, La Divina Commedia e altri temi, ed. Bora, Bologna

Busto di Piccarda Donati, Museo degli Uffizi

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