Orazio, tra Licenza, Mandela e Vicovaro

Tra il 33 e il 32 a.C., Mecenate, protettore di artisti e letterati, donò a Orazio un podere nella valle del torrente Digentia, attuale Licenza, garantendo al poeta una tranquillità la economica che gli consentì la lontananza dagli affanni e dalla scomodità della vita nell’Urbe.

Situata in una “valle tra montagne ininterrotte” (Ep. I, 16), la villa era circondata da circa 40 ettari di terra, veniva coltivata da schiavi (Epistole, I, 14) e aveva frutteti, oliveti, viti e pascoli; l’abitazione vera e propria era priva di soffitti d’oro e d’avorio, di colonne e architravi di marmo (Ep., II, 18), dunque una casa piuttosto semplice che i recenti studi e scavi (1997-2003) sembrano confermare. Non distante era la Fons Bandusiae, una piccola cascata d’acqua fresca che il poeta volle chiamare, probabilmente, con il nome di una fonte presso situata presso Venosa, suo luogo di origine (Odi, III, 13). Tra i luoghi citati si riconoscono: il mons Lucretilis (Odi, I, 17), alle cui pendici doveva sorgere la villa; la località Ustica (Odi, I, 17) da identificare probabilmente con Licenza; il rivus Digentia (Ep. I, 18) attuale torrente Licenza; il Pagus Mandela (Ep. I, 18),attuale Mandela; il vicus di Varia (Ep., I, 14), attuale Vicovaro; il tempio in rovina della dea sabina Vacuna, tra la villa e Roccagiovine (Epistole, I, 10).

 I resti della villa, nel territorio del Comune di Licenza, sono accessibili dalla via Licinese.

 Epistola a Quinzio, Ep. I, 16

Perché tu non abbia a domandarmi, ottimo Quinzio, se il mio podere mi nutra col raccolto del grano, o mi faccia ricco col prodotto dell’olio, o con i pomi o con i prati e con le viti accoppiate agli olmi, te ne descriverò distesamente la forma e il sito. Immagina una fuga continua di montagne interrotte da un’ombrosa valle; ma tale che il sole, appena nasce, ne irraggia la parte destra e, nel partire sul suo cocchio veloce, ne intiepidisce la parte opposta. Merita lode il clima. Come no? Se perfino i roveti producono in abbondanza vermiglie corniole e prugne, se la quercia e il leccio rallegrano il bestiame con molte ghiande, e il padrone con molta ombra, tu dirai che in questi dintorni s’è trasferita la frondosa Taranto. V’è anche una sorgente, da cui deriva un fiumicello che da essa prende nome, di cui l’acqua, salubre al capo e al ventre, non è men fresca e limpida di quella dell’Ebro, che serpeggia per i campi della Tracia.

Epistola al fattore, Ep. I, 14

O guardiano della selva e del campicello, che a te è venuto a noia e a me rende il pieno benessere; fornito di cinque focolari, onde son soliti recarsi a Varia cinque onesti coloni, scommettiamo fra noi due, se meglio io sappia barbicare le spine del cuore, o tu dal campo; se meglio Orazio curi se stesso, o tu il podere.

Epistola a Massimo Lollio, Ep. I, 18.

E quando io mi ristoro alle gelide acque del Digenza che bagna Mandela, il villaggio ora aggrinzito dal gelo, quali pensi tu che siano i miei sentimenti, e quali voti, amico, credi che formuli?

Ep. 10, ad Aristio Fusco

Questi precetti ho dettati per te, all’ombra del cadente sacrario di Vacuna, lieto per ogni verso, salvo il pensiero di non essere in tua compagnia.

Odi, II, 18

Non risplende nella mia casa l’avorio, né il soffitto dorato a quadrelli; non gravano architravi dell’Imetto su colonne segate dalle più riposte cave dell’Africa; né io, erede imprevisto, ho occupato la reggia di Attalo; né per me nobili spose di clienti filano le porpore della Laconia.

Odi, III, 13

O fonte di Bandusia, più limpida del cristallo, degna di libazioni di vino dolce e di ghirlande di fiori, domani avrai in sacrificio un capretto, cui le corna, visibili appena sulla fronte rigonfia, preparano agli amori e alle lotte con i rivali. Invano; perché rampollo del gregge lascivo, esso tingerà del rosso sangue la tua gelida corrente. Tu non risenti il periodo afoso dell’ardente Canicola; tu porgi amabile frescura ai tori stanchi dell’aratro e dell’errante bestiame

Odi, I, 17

Spesso il veloce Fauno lascia il Liceo per l’ameno Lucretile, e allontana dalle mie caprette gli ardori estivi e i venti che portano la pioggia. Senza pericolo, separandosi dal marito male odorante, ese vanno in cerca dei riposti corbezzoli e del timo; né i becchi temono i verdi colubri e i lupi sacri a Marte, tosto che le valli e le rupi splendenti della declive Ustica risuonano, o Tindaride, della tua flebile zampogna.

Risorse digitali:

Per maggiori e approfondite notizie sulla villa di Licenza, bibliografia e studi recenti:

 

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