La poesia dopo Auschwitz: Paul Celan

Ecco l'occhio del tempo:
scruta torvo
da sopracciglio di sette colori.
Fuochi lavano la sua palpebra,
la sua lacrima è vapore.

La cieca stella vi si avventa a volo
e fonde a quel più scottante ciglio:
si fa caldo il mondo,
i morti
gemmano e fioriscono.

Paul Celan, Occhio del tempo, Poesie, trad. it. Mondadori, Milano 1998

 

 
Scorrendo le pagine dell'opera in cinque volumi della "Storia della Shoah. La crisi dell'Europa. La crisi dell'Europa, lo sterminio degli ebrei e la memoria del XX secolo, di Marina Cattaruzza, Marcello Flores, Levis Sullam Simon (a cura di), di cui la Biblioteca possiede alcune copie, accanto alle testimonianze, le ricostruzioni, le immagini, accanto alla Storia che fissa minuziosamente su carta l'orrore di ciò che accadde, ci si sofferma sulla poesia di Paul Celan (Paul Antschel, Cernauți, 23 novembre 1920 – Parigi, 20 aprile 1970), nato nella Bucovina, attualmente in Ucraina, poeta rumeno, di origine ebraica e lingua tedesca.
"La sua poesia è legata al ricordo della deportazione (a Falticeni e Buzau, in Romania) e dalla tragica scomparsa dei genitori (eliminati nel campo di Michailowska, in Ucraina); l'autore non intende "capire", ma "restituire attraverso le parole il senso di una rottura della storia partendo dalla sofferenza che ne ha segnato le vittime [...] In Occhio del Tempo , composto all'inizio degli anni Cinquanta, la storia è vista come inferno, e soltanto la morte "fiorisce". Storia della Shoah, vol. V pp. 593 e segg.
 
 
 

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