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27 gennaio 2023, Giorno della Memoria. "Per conoscere, per ricordare, per non dimenticare": la banalità del male
Come ogni anno, la Biblioteca Istituzionale e l'Archivio Storico partecipano alle commemorazioni del Giorno della Memoria, istituito in Italia con la legge n. 211 del 20 luglio 2000, invitando alla lettura di due volumi, La parola ebreo di Rosetta Loy e La banalità del Male di Hannah Arendt. Due autrici, due testi molto diversi tra loro, uniti, però, dalla volontà di rappresentare la banalità e l'incosapevolezza con cui vittime e carnefici precipitarono in un orrore inconcepibile.
Un veleno instillato a piccole dosi che penetra nella tranquilla vita borghese della piccola Rosetta e impercettibilmente cambia abitudini ed esistenze. Rosetta Provera Loy (Roma, 15 maggio 1931- Roma, 1 ottobre 2022) "rievoca la prima volta che ha udito la parola "ebreo", pronunciata dalla sua amata frauelin con evidente disprezzo, ripercorrendo "i segni misteriosi e ambigui di quella quotidianità vissuta al riparo della storia e si insinua nelle pieghe dei fatti raccontando, con l'aiuto di lettere, dichiarazioni, discorsi, i passaggi cruciali di un periodo in cui nessuno è stato capace di opporsi alla follia nazista." (abstract").
"Se vado indietro nel tempo e penso a come la parola "ebreo" è entrato nella mia vita, mi vedo seduta su una seggiolina azzurra nella camera dei bambini [...]. Posso guardare nell'appartamento al di là della strada dove dai vetri aperti le tende dondolano all'aria. In quella casa c'è una festa, si vedono le persone andare e venire. In quella casa da poco è nato un bambino, quella festa è per lui. "Un battesimo?" chiedo. No, mi dice la donna che è seduta accanto a me su un'aòtra seggiolina dove il suo corpo rimane avvoltocome una palla, certo che no, ripete: lei è Annemarie, la mia fraulein. Sono ebrei aggiunge accennando con il mento al di là della finestra, loro i bambini non li battezzano, li circoncidono. Ha detto "bechschneiden" con una smorfia di disgusto".
Gia dagli anni '20, il disprezzo nei confronti degli ebrei prende piede nella letteratura (l'Autrice cita ad esempio Giovanni Papini, Storia di Cristo, del 1921, "una biografia romanzata che riprende la leggenda dell'Ebreo Errante con connotazioni estremamente razziste), in politica ovviamente, con l'ascesa di Hitler, nella cultura e società, con il diffondersi delle teorie sulle razze che acquisiscono "status" di verità scientifica.
Nel 1937, i primi lager si riempiono di "ebrei stupratori di ragazze ariane"; chi può è già andato altrove, ma è sempre più difficile: chi scappa può portare via solo l'otto per cento dei propri beni. E amaramente Rosetta Loy annota: "E senza denaro nessuno li vuole".
Quando a seguito delle Legge Razziali del 1938, vengono destituiti circa 300 docenti dall'Università, Il Corpo Accademico, con l'unica eccezione di Massimo Bontempelli, ha come unica preoccupazione quella di coprire i posti vacanti. Solo la voce del Papa, Pio XI, si leva contro il razzismo che monta ("esiste una sola razza umana", discorso del 28 luglio presso Propaganda Fide), ma resta inascoltata e addirittura ignorata dalla stampa.
"In pratica 48.032 italiani di religione o di famiglia ebraica, che nel mesedi ottobre erano ancora cittadini a pieno diritto, a novembre si ritrovano trasformati in "persone di razza ebraica" e come tali, oltre che schedati, privati di quello "status" garantito a tutti i loro connazionali; e infine spogliati di gran parte dei loro beni. Per molti, la maggioranza, sarà anche la perdita del lavoro; e per tutti quella del diritto allo studio. Isolati dal resto della popolazione queste 48.000 "persone" si ritrovano da un giorno all'altro alla mercé della benevolenza dei loro ex concittadini che non di rado cederanno alla tentazione di approfittarne."
Sono costretti a svendere le case editrici Treves, Bemporand e Angelo Fortunato Formiggini, di cui la biblioteca possiede tre volumi che, in modo diverso, testimoniano la sua intensa attività di autore, editore, promotore e diffusore di cultura. Si uccide il 29 novembre:
"Aveva sessant'anni. Nella lettera lasciata alla moglie spiega le ragioniche lo hanno portato a un gesto tanto estremo, impotente di fronteall'insensatezza di leggi emanate da un gruppo di gerarchi ossequienti,quando non ignoranti, con l'avallo di un gruppo scelto di studiosi, servili al punto di calpestare qualsiasi etica professionale."
Rosetta Loy, La parola ebreo, Torino, Einaudi, 1997
Hannah Arendt, filosofa tedesca, autrice de Le origini del totalitarismo, opera fondamentale del Novecento, seguì il processo Eichmann a Gerusalemme nel 1961 come inviata del “New Yorker”. Il resoconto uscì sul giornale nei primi mesi del 1963; nel maggio dello stesso anno, venne pubblicato nel volume La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, in una forma più ampia.
Otto Adolf Eichmann, l'uomo delle espulsioni forzate, lo strumento del Reich per il trasporto di milioni di ebrei (e non soltanto) nei campi di concentramento per la Soluzione Finale, si difese affermando di essere un "grigio burocrate che eseguiva solamente gli ordini dei gerarchi importanti”. La Arendt ne realizzò un ritratto terribile e sconcertante di uomo comune, senza capacità di discernimento, feroce nella sua banalità di burocrate di carriera nonché contabile della morte: “Non era uno stupido; era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza d'idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo. E se questo è «banale» e anche grottesco, se con tutta la nostra buona volontà non riusciamo a scoprire in lui una profondità diabolica o demoniaca, ciò non vuol dire che la sua situazione e il suo atteggiamento fossero comuni. Quella mancanza d'idee può essere molto più pericolosa di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell'uomo.”
Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, 2019
La Biblioteca istituzionale ha acquisito recentemente quest’opera, al di della propria specificità, missione e patrimonio, per metterla a disposizione dei lettori, perché come dice Cicerone: “La Storia in verità è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell'antichità" (De Oratore, II, 9, 36).
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